La Biblioteca della Società Storica Subalpina (abbreviata in BSSS[1]) è una collana di volumi che raccoglie e ripropone studi monografici e fonti documentarie delle terre appartenute agli stati sabaudi.
L'iniziativa fu avviata nel 1899 dallo storico torinese Ferdinando Gabotto in seno alla Società Storica Subalpina, da lui stesso fondata tre anni prima[2][3]. Dal 1956 è conosciuta come Biblioteca Storica Subalpina, abbreviata in BSS[4].
I volumi sono raggruppati in serie: Cartari (Corpus Chartarum Italiae[5]), Memorie, Miscellanea, Regesti e Testi[2].
Le pubblicazioni dei decenni iniziali, corrispondenti al primo centinaio di volumi, sono in buona parte digitalizzate e rese liberamente disponibili mediante la piattaforma Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, alla sezione Diritto europeo medievale e moderno[6][7].
Occorre ricordare che il contributo della Regia Deputazione alla pubblicazione delle fonti risentiva fortemente della considerazione che si ebbe di queste ultime sino al XIX secolo: i corpi documentari eran visti come meri contenitori di materiale, rilevanti solo per i fatti che testimoniavano, era dunque logico che da essi fossero selezionati gli elementi più importanti a discrezione dell'utilizzatore, sovente riordinati cronologicamente per facilitarne la consultazione. Si era ancora lontani dal vedere nei corpi documentari stessi un interesse storico, interesse apprezzabile solo nella loro integrità e forma originale[10].
Fondazione ed epoca gabottiana
Durante il primo congresso della Società Storica Subalpina, tenutosi a Cuneo nel 1898, il problema riemerse e si auspicò di intraprendere la pubblicazione sistematica delle fonti documentarie regionali, un vero e proprio «cartario degli antichi stati di terraferma»[11]. Col tempo tale attività assurse a principale obiettivo della Società, una vera missione, parallelamente alla divulgazione di studi su di essa basati e pubblicati sul Bollettino storico-bibliografico subalpino[12]. Ferdinando Gabotto, supportato da uno stuolo di appassionati consociati, nel 1899 concretizzò la proposta inaugurando la collana. Il Gabotto procacciò inoltre il supporto finanziario degli istituti di credito e delle amministrazioni locali, sia provinciali che comunali, nonché di alcune personalità in vista quali membri della famiglia reale e della nobiltà[2]. La rilevanza della collana fu da subito evidente e riconosciuta anche oltralpe[13].
Cima del frontespizio durante la direzione di Ferdinando Gabotto, dal 1899 al 1918
Da subito il Gabotto propugnò una politica estremamente pragmatica di scelta editoriale, fondata sul forte valore prepedeutico delle pubblicazioni allo svolgimento dei congressi: essendo le amministrazioni locali generalmente favorevoli a finanziare opere che le riguardassero, le scelte furono orientate a temi inerenti le future sedi dei congressi, innescando un circolo virtuoso che garantiva lustro alla sede ospitante parallelamente alla crescita e all'affermazione della Società stessa[14]. Tale politica fu tra le motivazioni che nei primi anni fecero prediligere l'edizione di cartari regionali, vale a dire monografici su di un'unica zona, data la maggiore facilità di reperimento dei fondi rispetto ai cartari misti[15][16].
Il meccanismo basato sulla promozione delle pubblicazioni in concomitanza dei congressi annuali fu rapidamente consolidato, risolvendo al contempo la questione del reperimento di fondi. La progressione geografica dei primi dieci volumi dunque rispecchiò fedelmente la corrispondenza con le rispettive sedi congressuali (Pinerolo nel 1899, Ivrea nel 1900, Saluzzo nel 1901). Tuttavia già dal 1902 le forze della Società si rivelarono insufficienti a sostenere il ritmo vorticoso del lavoro richiesto: le edizioni venivano prorogate di anno in anno, perdendo la corrispondenza tra temi e sede congressuale, la lista delle opere in preparazione proposta sul Bollettino subiva frequentissimi cambiamenti di numerazione, titoli e curatori, al punto che nel 1909 il Gabotto reputò opportuno dichiarare pubblicamente che tale lista era da considerare alla stregua di una dichiarazione di intenti[17][18].
L'archivio personale del Gabotto fornisce numerosi dettagli sulla vita quotidiana della Società. Tra i vari punti di interesse si cita il rapporto coi tipografi, caratterizzato da frequenti screzi: da un lato il direttore della collana, estremamente esigente, perennemente insoddisfatto dei risultati e dei costi troppo elevati, accusava i tipografi di incapacità e scarsa professionalità; dall'altro i tipografi, oltre a mal sopportarne le pressanti richieste, talvolta rifiutavano di prendere in carico le edizioni della BSSS per gli scarsi guadagni e la lenta e faticosa composizione. Il Gabotto giunse a considerare la possibilità di non servirsi più delle tipografie e assumere direttamente gli operai necessari, ma Carlo Patrucco riuscì a dissuaderlo[19].
Tra il 1914 e il 1915 l'aggravarsi delle condizioni di salute del Gabotto (figura preponderante all'interno della Società, con essa pressoché identificata) e l'entrata in guerra dell'Italia sospesero i congressi itineranti e le pubblicazioni della collana subirono un forte rallentamento[20].
Cima del frontespizio durante la direzione di Armando Tallone, dal 1919 al 1935
Ferdinando Gabotto morì a novembre 1918, le attività della Società si bloccarono interamente fino all'aprile successivo, quando fu stilato un nuovo statuto e rinnovato il consiglio direttivo, che vedeva Armando Tallone alla direzione della collana[22]. In tale contesto fu inaugurata la nuova serie della collana, che mantenne la numerazione ma aggiornò il frontespizio: la dicitura «diretta da Ferdinando Gabotto» fu adeguata in «fondata da Ferdinando Gabotto»[23][21].
Durante la presidenza di Carlo Patrucco, nel 1924 ripresero i congressi itineranti, con Vercelli nella veste di prima sede ospitante. In tale occasione fu avviata la pubblicazione delle fonti documentarie comunali, con i libri iurium duecenteschi della stessa città eusebiana[24].
Dal 1935, a seguito della fusione della Società Storica Subalpina nella Regia Deputazione Subalpina di Storia Patria voluta dal presidente Cesare Maria De Vecchi, le pubblicazioni della collana non videro più il nome in cima al frontespizio, sostituito dalla dicitura «Regia Deputazione Subalpina di Storia Patria - Sèguito alla Biblioteca della Società Storica Subalpina». La numerazione dei volumi fu mantenuta[25].
Con la pubblicazione del volume 175 del 1943 (Cesare Maria De Vecchi, Le carte di Giovanni Lanza, XI - Appendice e indici), la catastrofe della seconda guerra mondiale portò alla sospensione della collana[26].
Secondo dopoguerra
Nei primi anni del dopoguerra la Deputazione dovette affrontare vari problemi di ordine pratico, quali la ricostituzione della sede, della biblioteca e dei fondi librari, assieme alle questioni più prettamente relative al bilancio e la redazione del nuovo statuto (1949)[26]. Non ultimo dei problemi, la guerra aveva portato al «collasso di quella sinergia di istituzioni culturali, amministrazioni locali e persone, su cui si regge qualunque grande progetto di edizione»[27]. La ripresa della collana slittò dunque al 1952, con la pubblicazione del volume 176 di Giuseppe Barelli Statuti e documenti di Carrù - Statuti e "Liber franchisiarum et libertatum" di Dogliani.
In quegli anni la collana fu seriamente a rischio di chiusura: ereditata dalla Società Storica Subalpina, era vista come concorrente della serie Historiae Patriae Monumenta, opera ammiraglia della Deputazione fin dalla fondazione; la grave situazione economica della Deputazione, inoltre, portava a dedicare le poche risorse a limitati progetti selezionati. A conferma di ciò, la BSSS non fu inserita tra le pubblicazioni ufficiali della Deputazione nello statuto del 1949, diversamente dal Bollettino storico-bibliografico subalpino. Il disaccordo all'interno della Deputazione sul ruolo della BSSS, tuttavia, consentì di mantenerla e farla progressivamente percepire come pubblicazione propria della Deputazione, non più come un'ingombrante eredità della Società Storica Subalpina[28]. Non a caso, nei volumi editi nei primi anni '50 la dicitura «Sèguito alla Biblioteca della Società Storica Subalpina» fu tolta dal frontespizio e relegata alla pagina di guardia che lo precede[4].
Francesco Cognasso, sostenitore della collana nel secondo dopoguerra
La situazione cambiò nel 1954 con la nomina a presidente della Deputazione di Francesco Cognasso, precedentemente membro della Società Storica Subalpina. Durante il suo mandato si vide la ripresa a pieno regime delle attività scientifiche, la riaffermazione della centralità delle edizioni documentarie, il riavvio dei convegni itineranti di epoca gabottiana e la rivitalizzazione della BSSS, considerata da quel momento «un debito d'onore verso la Società Storica Subalpina». In tale contesto, nel 1956 la collana assunse l'attuale denominazione Biblioteca Storica Subalpina (abbreviata in BSS)[29][4].
Cima del frontespizio dopo la ridenominazione della collana del 1956
Il ritmo delle pubblicazioni era tuttavia assai lungi dai primi decenni, per ragioni principalmente finanziarie: la collana si reggeva fortemente sui contributi locali, ma le amministrazioni non erano più solerti come un tempo; i costi di pubblicazione erano inoltre più alti rispetto alle serie di studi, specialmente se comparati al limitatissimo volume di vendita[30].
Fonti
La Società Storica Subalpina definì chiari criteri di inclusione delle fonti documentarie nella collana. Tuttavia nella prefazione del primo volume il Gabotto tenne a precisare che i curatori avrebbero avuto piena libertà di giudizio nella composizione delle opere[31].
Limiti temporali
I criteri temporali di selezione delle fonti da includere nella collana furono stabiliti nel congresso di Saluzzo del 1901[32].
Analogamente alla Deputazione Subalpina di Storia Patria, l'anno 1300 (talvolta il 1313) fu scelto come limite temporale superiore, nonostante le accese discussioni che lamentavano la potenziale esclusione degli archivi dei comuni minori. Diverse furono le motivazioni: dopo tale data i documenti aumentano considerevolmente, perdendo sovente d'importanza; la morte di Enrico VII di Lussemburgo e il ridimensionamento delle due grandi potenze contendenti del Medioevo (lo Stato Pontificio e il Sacro Romano Impero) segnano un significativo spartiacque per la storia subalpina; in quegli anni il 1313 era sempre più considerato la fine del Medioevo, da parte degli studiosi[32].
Nella medesima sede fu stabilito di pubblicare integralmente le fonti fino al 1200, in quanto più antiche e meno numerose; i documenti fino al 1300/1313 sarebbero stati pubblicati in modo sistematico ma con maggiore elasticità; per le fonti successive sarebbero bastati i regesti[32].
A tali criteri temporali conseguì la predilezione delle fonti documentarie ecclesiastiche, più antiche delle fonti comunali[33].
Limiti geografici
Nel secondo congresso tenuto a Pinerolo nel 1899 furono discussi i limiti geografici d'azione della Società. Il dubbio verteva principalmente sull'area piemontese orientale (Novara, Casale Monferrato, Tortona e Alessandria), percepita non prettamente piemontese come conseguenza delle proprie vicende storiche. Si decise dunque di basarsi sul termine subalpino, che consentiva di spaziare oltre il ristretto ma comunque vago concetto di Piemonte, includendo così le terre orientali fino alla Lomellina e all'Oltrepò Pavese e a sud la Liguria[34].
In occasione della fusione nella Regia Deputazione Subalpina di Storia Patria del 1935, l'ambito fu ridefinito come «Stati Sabaudi, con particolare riguardo alle provincie di Alessandria, Aosta, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli»[35].
Lo statuto del 1949 riconsiderò nuovamente l'ambito geografico, includendo principalmente il Piemonte e la Valle d'Aosta, con la possibilità di spaziare fino a tutte le terre che rientravano nella sfera d'azione degli stati sabaudi[26].
Gestione del contenuto
Rifacendosi ai dettami di studiosi quali Benedetto Baudi di Vesme e Cornelio Desimoni, il Gabotto propugnò da subito l'attinenza totale a formato, ordine, duplicazioni, grafia e punteggiatura della collana rispetto al contenuto degli originali, essendo nascoste informazioni storiche anche nella forma stessa in cui questi ultimi si presentavano. Per ovviare ai conseguenti problemi di consultabilità, opportuni indici sarebbero stati affiancati alle fonti[36].
Dopo la morte del Gabotto, nel 1924 il direttore della collana Armando Tallone rilassò i criteri di gestione del contenuto, uniformandoli a quelli dell'Istituto Storico Italiano, caratterizzati da maggiore flessibilità di resa della grafia e della punteggiatura[36].
Dato lo scontento causato tra gli studiosi dalla decisione precedente, nel 1934 le norme editoriali furono riviste, ripristinando la scrupolosa attinenza agli originali. La sola eccezione, caldeggiata dallo stesso Tallone, riguardava la gestione dei duplicati, che potevano essere relegati in appendice[36].
Volumi
Mancando in rete una lista esaustiva dei volumi della collana, è qui di seguito proposta con i collegamenti esterni alle versioni digitalizzate, se disponibili[37][38].
Cartari minori, I (Cartario dei monasteri di Grazzano, Vezzolano, Crea e Pontestura, Cartario del monastero di Rocca delle Donne, Carte varie di Casale e del Monferrato, Le carte dell'archivio comunale di Chivasso)
E. Durando, V. Druetti
Cartari XXX
1908
43
Cartari minori, II (Le carte dell'archivio comunale di Gassino, Cartario di Santa Maria di Belmonte e di San Tommaso di Buzzano, Cartario della chiesa di Santa Maria di Testona, Cartario dell'abazia di Precipiano)
Cartari minori, III (Cartario delle Valli di Stura e di Grana fino al 1317, Carte Piossasco dell'archivio di Bardassano, Carte superstiti del Monastero di San Pietro di Torino, Carte inedite e sparse del Monastero di Tiglieto (1127-1341))
A. Tallone, F. Guasco di Bisio, F. Gabotto, A. Pesce
La loi du Prince - La raccolta normativa sabauda di Amedeo VIII, II - Compendium statutorum generalis reformacionis Sabaudie
C. Amman-Doubliez
2019
Note
^L'acronimo BSSS è talvolta erroneamente interpretato come Bollettino della Società Storica Subalpina, che tuttavia non è mai esistito ( Konrad Huber, I toponimi in -engo dell'Alta Italia, in Vox romanica, n. 49-50, 1990-1991, p. 103, nota 25. URL consultato il 19 novembre 2023; Paolino Pellanda, Per Gottardo Mellerio (19 agosto 1884 - 7 gennaio 1942), in Bollettino Storico per la Provincia di Novara, n. 3/4, 1943, p. 221. URL consultato il 2 dicembre 2023).
^Il nome fa riferimento all'iniziativa proposta da Luigi Schiaparelli nel 1903, consistente in uno sforzo coordinato di tutte le società storiche italiane alla creazione di «una raccolta sistematica, definitiva delle chartae medioevali italiane» ( Antonio Olivieri, Il Corpus Chartarum Italiae e i Regesta Chartarum Italiae, in Filologia e storia: Scuola nazionale di edizioni di fonti, collana Quaderni della Scuola nazionale di studi medievali, vol. 7, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2012, pp. 93-131, ISBN978-8898-079-00-1. URL consultato il 16 dicembre 2023).
^Una notevole eccezione a tale criterio fu il volume Documenti dell'archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea, pubblicato da Giuseppe Colombo nel 1901 (Negro, 2016, p. 110, nota 37).
^ Ferdinando Gabotto, Prefazione, in Carlo Baudi di Vesme, Ferdinando Gabotto, Domenico Carutti, Edoardo Durando, Carlo Demo e Carlo E. Patrucco (a cura di), Studi pinerolesi, Pinerolo, 1899, p. VI. URL consultato il 2 dicembre 2023. Ospitato su BEIC.
^I numeri 1-5000 della bibliografia furono pubblicati dallo stesso G. Borghezio sul Bollettino storico-bibliografico subalpino nelle annate 1916-1926, come continuazione della Bibliografia sistematica di F. Gabotto (si veda Luigi Bulferetti, Studi recenti sullo Stato Sabaudo negli ultimi decenni del Settecento, in Rivista Storica Italiana, 1939, p. 554, nota 64. URL consultato il 1º dicembre 2023).
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