Le notizie relative alla famiglia risalgono alla fine del XIII secolo. Originari dei dintorni di Roma, si trasferirono a San Miniato al Tedesco (nell'attuale provincia di Pisa), dove presero il nome di 'Buon Romei', come erano chiamati tutti coloro che provenivano dalla Città, nonostante non fossero pellegrini.
La fortuna economica arride subito alla famiglia e, grazie a un'accorta politica matrimoniale (Filippo Buonromei sposò infatti Talda, sorella di Beatrice di Tenda, moglie di Facino Cane e, in seguito, di Filippo Maria Visconti), si conquistarono l'appoggio della potente famiglia viscontea.
A causa delle lotte tra Firenze e i presidi ghibellini in Toscana, intorno agli anni '60-'70 del XIV secolo, i Borromeo si trasferirono a Milano e a Padova, per gestire l'attività economica prevalente di banchieri.
Un ramo della famiglia comunque si professò guelfa e si stabilì a Firenze, tenendovi e lungo case, palazzi e ville.
A Padova si celebrano le nozze tra Margherita Borromeo e Giacomo Vitaliani, ricco esponente della famiglia Vitaliani che vantava, benché senza prove storicamente accettabili, la discendenza da santa Giustina di Padova, la santa martirizzata sotto Diocleziano nel 303.
Nel 1409, alla morte di Giacomo Vitaliani, che aveva sperperato il patrimonio di famiglia, il figlio Vitaliano Vitaliani sarà adottato dallo zio materno, Giovanni Borromeo, privo di figli, con l'obbligo di assumerne il cognome. Vitaliano divenne così il capostipite della famosa famiglia milanese, con il nome di Vitaliano I Borromeo.[3]
Da Vitaliano I discesero altri grandi personaggi della famiglia.
Il figlio di Vitaliano, Filippo Borromeo (1419-1469), venne favorito notevolmente da Francesco Sforza, che lo nominò suo consigliere di fiducia e gli consentì di aprire filiali della sua banca a Barcellona ed a Londra. Nel 1461 venne nominato Conte di Peschiera.
Nel 1497 Ludovico il Moro, elevò Angera da borgo a città e mise ivi la sede del Capitano del Lago Maggiore e concesse il diritto di mercato e due Fiere annuali. Il Moro riconobbe agli angeresi anche importanti esenzioni dai dazi sulle merci che circolavano sul lago Maggiore, a danno dei Borromeo che di tali dazi erano titolari.
Era ripartito in dieci podesterie: Mergozzo, Omegna, Vogogna, Val Vigezzo, Cannobio, Intra, Laveno, Lesa, Angera e Arona. Il podestà di Arona era il delegato comitale anche per le funzioni giurisdizionali, dato che le proprietà borromaiche non dipendevano dalla giustizia ordinaria di Novara e di Milano. Il territorio, che era stato affidato in comodato dal Barbarossa e poi da Federico II di Svevia a feudatari locali,[7][8] era scarsamente popolato, ma permetteva da parte del signore il controllo della navigazione lacustre e l'introito daziario che veniva incamerato ad Arona.
Collocato al limite nord-occidentale del ducato di Milano e confinante con la Svizzera, conquistò un determinante ruolo strategico per il gran numero di siti fortificati, la disponibilità di un esercito locale, il sostegno dell'aristocrazia del posto. Il vasto feudo ebbe una lunga vita e solo l'occupazione napoleonica nel 1797 riuscì a smantellarlo. I Borromeo, però, conservarono il patrimonio immobiliare.[9]
XVI secolo
Si ricordano poi i tre figli di Giovanni I: Giberto Borromeo (1460-1508), Lancillotto Borromeo (1473-1513) e Ludovico Borromeo (1468-1527) che, quando Ludovico il Moro cercò di ottenere con la forza il castello di Domodossola che era controllato dai Borromeo, si opposero fermamente. Ad Arona, feudo della famiglia, venne poi concordata il 10 aprile 1503 la pace tra la Francia e Milano nonché quella tra Milano e la Confederazione Elvetica. Con la cacciata degli Sforza e l'ascesa di Luigi XII di Francia, i Borromeo assieme ad altre casate come i Trivulzio ed i Pallavicino, ottennero ancora più potere a Milano. Lancillotto è, inoltre, ricordato per aver acquistato la proprietà di Isola Madre[10] nel 1501.
Dal 1535 Angera, come tutto il Ducato di Milano, passò sotto il dominio spagnolo, e fu nuovamente concessa in feudo ai Borromeo, almeno fino al 1577, quando tornò a dipendere direttamente dal governo di Milano.
Dei figli di Giberto ricordiamo Federico Borromeo (1492-1528) che sposò Veronica Visconti di Somma ed ebbe 3 figli tra cui: Giberto II Borromeo (1511-1558), governatore del Lago Maggiore, e Giulio Cesare Borromeo (1517-1572).
Ambito toscano, San Carlo Borromeo consacrato cardinale, 1626
Nel 1623 il Cardinale Federigo Borromeo acquistò nuovamente il feudo, con il titolo di Marchese di Angera, per sé e per i propri nipoti, tenendo il titolo di Conte di Arona come titolo sussidiario che, ancora oggi, solitamente viene concesso al primogenito del capo della casata. Il Cardinale, che fu capace di ricreare con gli angeresi un rapporto di fiducia, ricostituì la Collegiata nella chiesa di S. Maria Assunta con un Capitolo di sei canonici. Il Cardinale ottenne inoltre per gli angeresi la libertà di pesca: nel 1623 il reFilippo IV di Spagna concesse infatti l’uso civico di pesca agli abitanti di Angera e di Ranco, ancora oggi in vigore.
Tra i figli di Giulio Cesare, da ricordare il cardinale Federico Borromeo (1617-1673).
Gli eredi di Carlo III furono il cardinale Giberto III Borromeo (1615-1672), Renato II Borromeo (1618-1685) e Vitaliano VI Borromeo (1620-1690), quest'ultimo artefice delle maggiori trasformazioni dell'Isola Bella e della costruzione del Palazzo Borromeo, uno dei più grandiosi esempi di villa di delizia nell'area lombarda. Renato II consolidò la famiglia Borromeo nell'organizzazione dello stato milanese tramite il suo matrimonio, celebrato il 21 ottobre del 1652, con la contessa Giulia Arese, figlia ed erede del conte Bartolomeo III Arese, presidente del senato di Milano ed uno dei più ricchi possidenti locali. Questo matrimonio, di grande impatto presso l'aristocrazia milanese del tempo, non solo arricchì ulteriormente i già potenti Borromeo ma fece sì che il figlio primogenito della coppia, assumesse il cognome di "Borromeo Arese".
Tra i figli di Carlo Borromeo Arese vi furono Giovanni Benedetto Borromeo Arese (1679-1744), imprenditore e marito di Clelia Grillo, considerata in Italia una delle donne più colte della sua epoca.[13] Sembra che Carlo Borromeo fosse contrario al matrimonio, perché considerava le giovani Grillo ragazze poco affidabili. La situazione fu poi sbloccata dal conte Marco Antonio Visconti e dal principe Eugenio di Savoia. Le nozze furono celebrate l'8 marzo 1707.[14] Si trattò di un matrimonio felice e la coppia ebbe otto figli: Giulia (1709-1731), Renato III Borromeo Arese (1710-1778), Maria Paola (1712-1761), Francesco (1713-1775), Giuseppe (1714-1715), Antonio (1715), Giustina (1717-1741) ed il cardinale Vitaliano Borromeo (1720-1793).
Clelia Grillo dal 1711 iniziò a tenere a Milano un salotto culturale tra i più frequentati che però aveva tendenze politiche spiccatamente filo-spagnole. I figli crebbero sotto la forte tutela del nonno Carlo il quale copriva la debole presenza di loro padre Giovanni a contrasto dell'agguerrita e polemica madre con cui erano soventi gli scontri anche in famiglia. Sino al 1734, anno della sua morte, Carlo fu de facto il tutore di Renato III e spianò per lui una carriera al servizio dell'Austria e facendogli mantenere forti contatti con l'aristocrazia milanese ad essa fedele. Fu a seguito della scomparsa del capofamiglia, che i contrasti tra Renato e sua madre si acuirono ulteriormente al punto da spingere lui stesso la regina arciduchessa Maria Teresa d'Austria ad esiliare la sua genitrice nel palazzo di campagna ed a privarla di molte prerogative e privilegi. A partire dal 1770, dietro sua esplicita richiesta ed in riconoscimento della fedeltà mostrata alla causa austriaca, Renato III riuscì ad ottenere da Maria Teresa tramite la Regia Camera di Milano il riconoscimento del titolo di Conte per tutti i membri maschi della famiglia Borromeo e non più solo al primogenito come accadeva in precedenza.[15]
Figlio di Giberto fu Vitaliano VIII Borromeo (1792-1874), letterato e uomo di cultura, e noto anche per le sue attività patriottiche. A quest'ultimo Borromeo si devono altre innovazioni nel palazzo dell'Isola Bella.
Il fratello di Giberto, Carlo Ferdinando Borromeo (1935), ha avuto 5 figli. Con Marion Sibylle Zota ha avuto: Isabella Borromeo (nata nel 1975; sposata con Ugo Brachetti Peretti dal 2005 al 2020), Lavinia Ida Borromeo (nata nel 1977; sposata nel 2004 con John Elkann, figlio di Alain Elkann e Margherita Agnelli) e Matilde Borromeo (nata nel 1983; sposata con il principe Antonius zu Fürstenberg dal 2011 al 2019). Con Paola Marzotto, figlia di Marta Marzotto e Umberto Marzotto, ha avuto: Carlo Ludovico Borromeo (1982) e Beatrice Borromeo (nata nel 1985, giornalista politica italiana; sposata nel 2015 con Pierre Casiraghi, figlio della principessa Carolina di Monaco).
Dal 1980, nella villa, sono ubicati gli Uffici comunali di Arcore, mentre il parco è aperto al pubblico. Dal 2010 le scuderie sono sede distaccata del corso accademico di restauro dell'Accademia di Brera.
Dal 1629 al 1983 la villa fu proprietà dei Borromeo, da allora fu acquistata dall'Università internazionale del Secondo Rinascimento. È inoltre sede di congressi, corsi, seminari, riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, ed infine di un museo permanente e di un museo per grandi mostre.
Dopo la morte di Giulio Visconti Borromeo Arese nella seconda metà del XVIII secolo, la villa passò prima alla famiglia Litta, poi nel 1872 al barone Ignazio Weill Weiss, nel 1916 al suo contabile Erminio Riboni, nel 1932 alla famiglia Toselli, e, infine, nel 1970 venne acquistata dal Comune di Lainate che l'ha adibita a museo.
Fasciato di sei pezzi di rosso e di verde, alla banda attraversante d'argento.
Famiglia Borromeo
Inquartato, fiancheggiato in arco di cerchio, col capo e la campagna: nel I di rosso alla corona antica d'oro, posta in sbarra; nel II d'argento a due trecce d'oro, poste in sbarra, annodate di rosso in decusse; nel III d'azzurro a tre anelli intrecciati d'oro gemmati di rosso male ordinati; nel IV di rosso al freno d'argento posto in banda. Il fiancheggiato di rosso: sul fianco destro seminato di fiammelle d'oro al liocorno d'argento, accollato di una corona antica d'oro annodata con una sciarpa d'argento svolazzante, spaventato da un medaglione ovale d'argento, raggiante d'oro, orizzontale a destra, caricato da un biscione d'azzurro ingollante un putto di carnagione; il fianco sinistro caricato di un dromedario giacente in un canestro sostenente sulla gobba una corona antica il tutto d'oro, sormontata da sette penne di struzzo alternate d'azzurro e d'argento. Il tutto sinistrato e spaccato: superiormente d'oro all'aquila di nero coronata d'oro, inferiormente d'argento al volo abbassato di nero. Il capo e la campagna d'argento, caricato il primo del motto humylitas in carattere gotico minuscolo di nero, sormontato da una corona fioronata d'oro; e la seconda da un cedro d'oro, gambuto e fogliato di verde, posto in fascia. Sul tutto partito: nel I bandato d'azzurro innestato d'argento e di verde; nel II fasciato di rosso e di verde, alla cotissa in banda d'argento attraversante.[41]
Simbologia dello stemma
L'antico stemma dei 'Buon Romei' nel Palazzo vicariale di CertaldoL'attuale stemma dei Borromeo
Lo stemma dei Borromeo è alquanto complesso, per la riunione in esso di molti simboli.
Il più noto è il mottoHumilitas, che sovrasta lo stemma e che stava a sottolineare la pietà e la religiosità della famiglia di Carlo Borromeo e di Federico Borromeo, molto legata alla Controriforma e spesso imparentata con vari pontefici. Questa scritta, in caratteri gotici rigidamente verticali, sottintende l'umiltà dinanzi a Dio e alle virtù;
Il dromedario prostrato è un altro simbolo ricorrente, sul cui dorso si erge un cimiero piumato. Questo fu uno dei primi emblemi di famiglia, introdotto da Vitaliano I Borromeo in ricordo ed in omaggio dello zio materno Giovanni Borromeo: rappresenta infatti la pazienza e la devozione;
L'unicorno (o liocorno), invece, era legato alla forza politica della famiglia: esso era il segno del grande valore di Vitaliano I, quale gli era stato riconosciuto da Filippo Maria Visconti, duca di Milano: infatti esso spesso si rivolge verso il Biscione visconteo;
Il morso rappresenta una forza data dalla fermezza, in grado di bloccare la violenza brutale: esso venne introdotto in memoria della forza militare mostrata da Giovanni I Borromeo che, nel 1487, fermò Svizzeri e i Vallesani al ponte di Crevola presso Domodossola (battaglia di Crevola).
Il cedro, in basso allo stemma, rappresenta la bellezza e la particolarità della flora che cresce rigogliosa nei possedimenti dei Borromeo. Inoltre, in araldica, esso è simbolo di pietà e misericordia, ed era ritenuto simbolo di immortalità per la stirpe di chi lo portava nel proprio blasone;
Infine, il simbolo formato dai tre cerchi, interconnessi in maniera tale che, spezzando uno dei tre, anche gli altri due si separano; questi anelli borromei (ornati da un diamantino) sono presenti nel Palazzo Borromeo d’Adda di Milano, e all’Isola Bella nella dimora dei Borromeo. Il simbolo rappresenta l'unione delle tre potenti famiglie lombarde (Visconti, Sforza, Borromeo) e la Trinità cristiana. Per i fisici nucleari indica - nel contesto dei nuclei esotici - quei sistemi legati, come l'elio-6 o il litio-11, formati da tre sottosistemi i quali, presi a due a due, non formerebbero un legame stabile. Questo tipo di nuclei vengono detti Borromeani[42].
^Vendette il feudo di Gambara alla Repubblica di Venezia e divenne Patrizio Veneto. Probabilmente fu l'antenato del ramo veneziano dei Vitaliani, estinto nel XIII secolo