il caprile o chiuso (recinto in pietra per la mungitura delle capre)
la capanna o grottino (struttura in pietra, esterna, per la produzione di formaggi e ricotte)
il grìgolo (struttura in pietra, interna, per isolare i capretti durante lo svezzamento)[1]
È costituito da un recinto ellittico o circolare di bozze monzogranitiche, ad unico ingresso, entro il quale venivano radunate le capre al momento della mungitura, che avveniva utilizzando dei rustici contenitori chiamati mungitoie.
Per poter essere munte, le capre venivano talvolta bloccate con una sbarra di legno collocata di traverso allo stretto ingresso, in modo simile alla nŭmella latina.[2] Durante lo svezzamento i capretti, ai quali era messo in bocca un pezzetto di legno di Erica arborea detto bavello, venivano isolati nei grìgoli, piccoli anditi in pietra – muniti di copertura – all'interno del caprile stesso.
Il termine grìgolo deriverebbe dal basso latinocryptŭlus, «piccola grotta»; i grìgoli più antichi, infatti, erano ricavati da grotte naturali adattate con muretti «a secco». Accanto al caprile si trova il domolito, ossia una costruzione in pietra «a secco» (nel Marcianese detta capanna, nel Sanpieresegrottino) dove i pastori preparavano i formaggi e le ricotte.
Il domolito, il cui ingresso è posto in direzione contraria rispetto ai venti dominanti, presenta una pseudocupola costituita da lastre di granodiorite disposte con un'inclinazione che non permette l'entrata d'acqua in caso di pioggia.[3] Un grosso caldaro di rame stagnato, appeso all'interno della struttura e contenente il latte appena munto, veniva riscaldato con un fuoco. Il caglio era poi rimestato con la rompitoia, un bastone triforcuto in legno di corbezzolo, e il siero che ne derivava era chiamato, con un evidente latinismo, seriùcola (da sĕrum, «siero»).[1]
I formaggi, che venivano prodotti in piccole forme coniche o cilindriche (cascine) di giunchi intrecciati ricavati dalla pianta Scirpoides holoschoenus (localmente nota come biòdola), si distinguevano in ricotte, cacetti e baccelloni; venivano disposti in catini con foglie di felce (Pteridium aquilinum) e, tramite donne o ragazze dette casane e ricottaie, inviati alla vendita nei paesi dell'isola.[2]
Origine dei domoliti
La realizzazione dei domoliti si deve in buona parte al pastore Mamiliano Martorella (1898-1973) a partire dal 1930.[4] Precedentemente, infatti, la costruzione pastorale elbana era detta cascina e presentava una base in pietra «a secco» su cui si innestava una copertura di rami e frasche, in modo simile alla pinnetta sarda.[4]
Caprili di Serraventosa (Marciana) con un protodomolito a copertura conica realizzato dal pastore Pietro Anselmi alla fine del XIX secolo (Caprile dei Colli)