I Babilonesi è la prima commedia teatrale del comico greco Aristofane, con cui debuttò nel 426 a.C. e di cui restano solo 34 frammenti nell'edizione Kassel-Austin dei Poetae Comici Graeci.
Il Coro era composto da schiavi babilonesi (secondo alcuni, le città alleate di Atene) che lavoravano nel mulino di Demo (il Popolo), marchiati a fuoco e con un aspetto sconcertante[1].
Sappiamo che Dioniso (probabilmente il protagonista della commedia) veniva citato in giudizio, forse dai demagoghi ateniesi guidati da Cleone, che venivano derisi dal dio per la loro stupidità[2]. Ancora, i frammenti rivelano che si descriveva lo sbarco, da una nave, di cinque altri, forse ambasciatori presso gli alleati e dei quali si descriveva l’inettitudine, simile a quella dei loro omonimi negli Acarnesi[3].
Dei magistrati ateniesi, comunque, si prendeva in giro l’inettitudine e la pomposità, citando come massimo esempio ancora una volta Cleone.
Critica
Aristofane presentò la commedia sotto il nome del regista Callistrato, non essendogli ancora concesso il coro per la sua giovane età[4]ː secondo la tradizione erudita, Aristofane ottenne il primo posto nelle Grandi Dionisie ma, per il contenuto della commedia, Cleone intentò processo a Callistrato[5].
È chiaro, a giudicare da quanto affermato dall'autore nei successivi Acarnesi[6], che l'opera criticava l'amministrazione dell'impero ateniese da parte di Pericle e altri funzionari, l'interesse personale delle loro controparti nelle città alleate e la creduloneria del popolo ateniese quando ascoltava gli ambasciatori alleati in Assemblea. Sempre negli Acarnesi[7] l'autore ricorda, per bocca del suo protagonistaː
«quei bei cinque talenti che Cleone
ha dovuto sputare! Come e quanto
mi ha fatto godere! E amo proprio
i Cavalieri per quell'atto, degno
invero per la Grecia tuttaǃ»
(Trad. A. D'Andria)
.Questi versi sono stati considerati un riferimento non a un incidente storico ma a un episodio nei Babilonesi, sebbene i Cavalieri sembrino non aver avuto alcun ruolo nella commedia. Il coro, composto da schiavi tatuati che lavoravano in un mulino, potrebbe aver rappresentato gli abitanti assediati delle città alleate[8].