«Una storia di tre ore su un giovane immigrato siciliano che pugnala a morte due uomini è stato il più straordinario di tutti i contributi tedeschi... La Germania, un posto difficile da ravvivare quanto la Luna, un incubo. Questa è stata la sola decisione giusta e audace fatta dalla giuria internazionale.»
Al suo primo anno da direttore della Berlinale, Moritz de Hadeln si trovò ad affrontare l'eredità lasciata dall'edizione precedente, ovvero il boicottaggio dei Paesi socialisti come protesta per la presenza del film Il cacciatore di Michael Cimino, considerato un "insulto" al popolo vietnamita.[4] Era quindi necessario versare acqua sul fuoco e cercare la via migliore per far tornare i Paesi del blocco orientale al festival, un compito reso ancora più difficile dalla situazione geopolitica visto che gli stati occidentali stavano prendendo in considerazione il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca in risposta all'invasione sovietica dell'Afghanistan.[1]
Apprezzamenti per Chiedo asilo
L'unico film italiano in concorso, Chiedo asilo di Marco Ferreri, fu molto apprezzato da pubblico e critica, oltre che dallo stesso direttore del festival, e si aggiudicò il Gran Premio della Giuria con questa motivazione: «Nel suo stile inventivo, Marco Ferreri ci pone a confronto con il mondo dei fanciulli e le nostre difficoltà di comunicare con loro, insieme alle nostre speranze e al nostro avvenire».[5][6]
Alla fine de Hadeln ci riuscì anche grazie all'aiuto di Horst Pehnert, giornalista e viceministro della cultura della Germania Est che negli anni successivi avrebbe continuato a fare da mediatore tra interessi artistici e diplomatici.[1] Alcuni eventi confermarono però la tensione del momento, a partire dalla richiesta da parte dell'Unione Sovietica di escludere dalla retrospettiva dedicata a Billy Wilder i film Uno, due, tre! e Ninotchka, co-sceneggiato da Wilder e ritenuto una pericolosa commedia ideologica.[1][7]
Gli altri riguardarono i film Die wunderbaren Jahre del dissidente della DDR Reiner Kunze e Marigolds in August, scritto e interpretato dal drammaturgo sudafricano Athol Fugard. Il primo fu escluso per motivi di qualità, scatenando le proteste di parte della stampa e dei Junge Liberale, organizzazione politicamente vicina all'FDP che parlò di "auto-censura" e distribuì opuscoli in cui affermava "Ci vergogniamo di questa vigliaccheria".[7] Il secondo portò di nuovo alla minaccia di boicottaggio da parte dell'URSS, che fece riferimento a una risoluzione delle Nazioni Unite che si opponeva alla cooperazione con il Sudafrica.[8] Il management del festival sottolineò che il film era contro la segregazione razziale e che il dramma di Fugard era stato mostrato senza alcuna obiezione nei Paesi socialisti. Fu organizzata una proiezione speciale per la delegazione sovietica che fortunatamente tornò sui suoi passi, alla condizione che fosse inserito nel programma e nella documentazione del festival senza l'indicazione del Paese di origine.[7] Alla fine Marigolds in August si aggiudicò il premio INTERFILM e Athol Fugard quello per il 30º anniversario della Berlinale.
La nuova direzione implementò diverse funzionalità nella struttura del festival, tra cui un maggior numero di registi, critici e produttori nel comitato consultivo e il miglioramento dei requisiti di selezione dei film destinati al Kinderfilmfest (in cui fu particolarmente apprezzato Jag Är Maria dello svedese Karsten Wedel). All'attore e attivista LGBT Manfred Salzgeber fu affidato lo sviluppo dell'Info-Schau (che sei anni dopo avrebbe dato origine alla sezione Panorama) nel quale fu proiettato tra gli altri Ratataplan dell'esordiente Maurizio Nichetti.[1] Proseguì inoltre la cooperazione tra la competizione e il Forum internazionale del giovane cinema,[1][9] che il consiglio di amministrazione riconobbe come partner alla pari, e la "tensione produttiva" tra le due sezioni diventò un marchio di qualità del festival. Nella sua relazione di chiusura, il direttore del Forum Ulrich Gregor scrisse che era stato positivo per registi e produttori che la Berlinale avesse messo a disposizione «due modalità completamente diverse di presentazione in termini di condizioni di proiezione e aspettative del pubblico».[1]
Altro oggetto di dibattito fu la presenza di due film mostrati fuori concorso: Cruising di William Friedkin dette origine ad una polemica sullo sfruttamento superficiale e sensazionalista della comunità gay, mentre la co-produzione italo-americana Caligola di Tinto Brass fu liquidata come uno spettacolo di pura pornografia.[3]