Il nome gattafin deriverebbe da finezza della gatta. Questo perché il piatto veniva un tempo preparato dalle mogli dei lavoranti della cava situata in località La Gatta, nei pressi di Levanto, a partire dalle erbe fini che i mariti portavano a casa a fine giornata dopo averle raccolte nei pressi del luogo di lavoro. Una seconda spiegazione del nome va più indietro nel tempo e si ricollega a gattafura, un termine con il quale nel XIV secolo si indicavano i ravioli. Il lemma fu utilizzato sia da Maestro Martino nel Libro de arte coquinaria (XV secolo) che da Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio V.[3]
Preparazione
Il piatto viene preparato a partire da una pasta sfoglia fatta di farina, acqua, uovo e sale; a parte le erbette vengono sbollentate, strizzate, tritate finemente e fatte saltare con olio e aromi. Vengono poi unite a pan grattato, uova, parmigiano e noce moscata per costituire il ripieno del gattafin. Si procede poi preparando il raviolo disponendo il ripieno su metà della sfoglia, ricoprendolo con la seconda metà e definendone i margini con una rotella da cucina[1] e dandogli una forma a mezzaluna[4]. Infine i ravioloni vengono fritti in olio, pochi per volta, e serviti caldi[1].
^abc Rudy Ciuffardi e Vincenzo Gueglio, Ravioloni d'erbe fritti Gattafin, in Da un bosco in cima al mare, Gammarò Editori, 2006. URL consultato il 21 giugno 2018.
^(EN) Oretta Zanini De Vita, Gattafin, in Encyclopedia of Pasta, University of California Press, 2009, p. 126. URL consultato il 21 giugno 2018.
^Gattafin, su agriligurianet.it, Regione Liguria. URL consultato il 25 giugno 2018.
^Ricetta gattafin, in Gavona today, 18 luglio 2016. URL consultato il 21 giugno 2018.